Verso il Consiglio Nazionale/Una grande opportunità per le nostre proposte La dinamica delle nuove alleanze per il Pri di Antonio Suraci E’ finita, per fortuna del Paese, la stagione dell’inutile discussione sul bipartitismo, sul bipolarismo e sul bipartipolarismo. Durante la precedente stagione si è discusso, anche, di liberismo e liberalismo, salvo fare, dopo le crisi economiche internazionali, marcia indietro sul primo e interpretando il secondo come se fosse la novità politica nazionale offrendo l’illusione che, sposando tale pensiero, sarebbe stato possibile raggiungere l’eden politico, sociale ed economico. Sul primo torneremo successivamente. Sul secondo, senza prova di smentita, ci si è esercitati maldestramente, spesso senza sapere di cosa si parlasse. Per capirci dobbiamo partire dall’assunto che al centro del pensiero democratico e liberale vi è l’uomo, i valori che maturano in quest’ultimo tesi al progresso, principalmente culturale, nell’interesse sociale ed economico collettivo. Questi valori poggiano su un assioma indiscutibile e non negoziabile: la responsabilità che ciascuno deve avere nel gestire sia la cosa pubblica che privata accompagnata da una visione etica che induca a lavorare per il bene e per la felicità dell’intera collettività. Ciò significa che le leggi emanate da un Parlamento democratico e liberale non possono andare contro gli interessi individuali e collettivi, prima tra tutti la scelta del metodo della rappresentanza politica che deve avere come principale aspirazione quella di organizzare elettoralmente le diversità sociali, ricchezza, questa, di innovazione e progresso per la Nazione intera. Inoltre, il pensiero democratico e liberale poggia su due pilastri che sorreggono tutta l’impalcatura sociale e istituzionale: la libertà e la giustizia. Quindi in sintesi: uomo/cittadino, progresso, responsabilità, libertà e giustizia rappresentano le finalità di un pensiero non patteggiabile con quelle soluzioni intermedie che si ispirano ad interessi di parte, corporativi e/o ad esclusivo uso e consumo della classe politica e imprenditoriale. Anzi ne rappresentano l’antitesi. In quasi due decenni non abbiamo registrato nulla di tutto questo, pur avendo sollecitato la necessità di riforme serie capaci di rinvigorire il dettato costituzionale che sin dalla sua origine, purtroppo, ha trovato nella classe politica il vero ostacolo alla sua espansione. Prendendo in esame l’attuale stato della Nazione possiamo auspicare che la fase storica del pressapochismo politico, progettuale e legislativo, sia giunta alla sua naturale conclusione, pur con il rischio che trascini con sé quello che di buono vi è nella Norma fondamentale regolatrice della vita collettiva. Le riforme riguardanti la giustizia, la scuola, la sanità, il Mezzogiorno, o la solidarietà, solo per citarne alcune, allo stato dell’arte possono essere raffigurate come le toppe del vestito di Arlecchino: i colori rappresentano i diversi interessi che le hanno condizionate e tutte insieme non compongono un abito di buona fattura. Le diverse anime politiche che ne hanno condizionato la realizzazione in termini democratici e liberali hanno, di fatto, impedito la piena affermazione di quei valori a cui si faceva riferimento. In sostanza l’Italia è un Paese costruito sulla spontaneità e sul potere di questa o quella compagine politica che al momento governa il Paese. E quando mi riferisco al governo non intendo solo chi nel tempo ha governato da Palazzo Chigi. In Italia in tanti, troppi, hanno governato senza reali responsabilità istituzionali. Oggi, giunti agli sgoccioli della Prima Repubblica, non dobbiamo illuderci che l’attuale squadra di governo - per il solo fatto di essere composta da tecnici - non rappresenti una forza politica e di potere, al contrario. E se ciò, da una parte, può rappresentare un pericolo perché sorta dalle ceneri della stessa politica e senza vincoli precostituiti, dall’altra, nelle condizioni attuali, rappresenta una grande opportunità per disintossicarci dal partitismo e per rimettere nel circuito intellettuale proposte adatte ad innovare la vita della Nazione. La crisi dell’indistinta classe di ‘mezzo’, abbondantemente edulcorata e illusa dalla fase populistica, sia da destra che da sinistra, la porta ad una benevola attenzione verso la nuova compagine governativa, consapevole dei sacrifici che verranno richiesti ma pronta, al tempo stesso, a seguire politiche serie in grado di ridare al Paese la sicurezza economica e sociale, con la speranza di tornare a rappresentare un importante motore, questa volta consapevole, per la società intera. Dalla crescita massificata degli anni ‘60-‘80 all’illusione di poter raggiungere un individualistico potere, tipica degli anni ‘90 e inizi del nuovo secolo, oggi il ceto medio ha la consapevolezza che nessuna classe o ceto potrà salvarsi dalle tempeste economiche internazionali senza un rinnovato patto sociale. Il patto non sarà tra borghesia capitalistica, che prendo in considerazione non in termini sociologici ma solo in termini dialettico-politici, e altri rappresentati della società, ma tra il modello di sviluppo borghese, con le sue specificità di sviluppo economico a forte caratterizzazione democratica e liberale, e la maggioranza del ceto medio che in quel modello può ritrovare le proprie ambizioni. In quest’ottica tutti dovranno fare la propria parte, sapendo che lo Stato sino ad ora conosciuto, assistenziale, parassitario e corruttivo, non dovrà più esistere. L’individualismo, così come ha caratterizzato le ultime stagioni, non potrà più marcare il territorio dell’arrivismo, ma dovrà necessariamente trasformarsi in seria competitività professionale, nell’interesse collettivo esaltando le migliori qualità di merito. E l’interesse collettivo, a sua volta, non potrà più sorreggersi su finte aristoteliche corporazioni: a partire dallo sgretolamento di queste ci si dovrà affrancare dai privilegi, dalle facili prebende e dalle discutibili professionalità. Dobbiamo comprendere che quello che definiamo mercato non può, a livello sociale, essere corrotto dalla presenza di una miriade di micro-lobbies che ne condizionano la crescita e lo sviluppo, ma che vi è, al contrario, una sola lobby da prendere in considerazione ed è quella nazionale, l’unica in grado di poter competere nel mondo internazionale caratterizzato da crisi, crescite emergenti e fattori complessi che dovranno essere compresi e interpretati. Ciò consentirà l’apertura di ampi spazi per le nuove generazioni che, se è vero che ambiscono ad un lavoro stabile, sono tuttavia consapevoli che la stabilità è data non tanto dalla garanzia di un contratto blindato, quanto dalla chiarezza e dalla certezza delle regole, da un ruolo differente - più garante - dello Stato e dalla responsabilità sociale che ciascuno dovrà esercitare verso l’altro all’interno della collettività. La positività dell’emergenza attuale sta nella necessità di ridisegnare alcuni modelli base per i quali è richiesta la partecipazione dell’intera sensibilità nazionale. Non si va verso un mondo in cui verranno erogate punizioni o prebende, ma verso un mondo che deve ridisegnare un proprio modello sociale ed economico e che nel salvaguardare le parti più esposte alle cicliche crisi possegga la vocazione al recupero della marginalità. Occorre ripartire da quel modello di sviluppo interrotto ‘infecondamente’ agli inizi degli anni ‘60, apportando innovazione filosofica e progettuale, favorendo in tal modo la crescita sociale verso l’alto per ricostruire un tessuto sociale in grado, per tutte le componenti, di evolvere verso un superiore livello di consapevolezza culturale. In questo quadro vanno interpretate le possibili alleanze per una forza democratica e liberale che vuole rappresentare gli interessi diffusi in sede politica. La dinamica sociale che lentamente riprende a delineare i nuovi soggetti politici va interpretata spostando l’interesse sulle nuove alleanze che raccoglieranno l’attenzione dei cittadini attraverso proposte utili alla crescita del Paese. Queste nuove alleanze che potranno realizzarsi superando antichi pregiudizi storici e ideologici dovranno poggiare su una un’unica e articolata visione il cui fine non può non essere la ‘felicità’ dell’uomo e del cittadino. Nel quadro che si delinea non vi saranno contenitori laici o contenitori cattolici che si alleeranno su sorpassati schemi o, peggio, contenitori qualunquisti già storicamente sperimentati, ma saranno contenitori eterogenei rinsaldati da un unico comune denominatore: responsabilità etica dei rappresentanti, giustizia, equità e democrazia aperta alle rispettive esigenze e alle diverse sensibilità. In questo quadro l’organizzazione politica in grado (non di ideologizzare la propria presenza attraverso superate visioni sociologiche o anche su storiche posizioni pur di alto livello) di comprendere che la scolarizzazione diffusa, l’ampio benessere, la sconfitta del pervicace individualismo consumistico hanno spostato l’attenzione dei cittadini, convinti di aver acquisito i fondamentali della democrazia, verso quelle forze che maggiormente garantiranno lo sviluppo, la sicurezza e la qualità della vita sociale, avrà vinto la sfida per la quale intende ancora impegnarsi per il bene del Paese. Saranno contenitori ampi che prima di allearsi tra loro per eventuali azioni di governo, dovranno saper intercettare un articolato consenso, per ottenere il quale è richiesta una grande capacità di rinnovamento culturale recuperando quei valori filosofici e umani che, in passato, condizionati dagli eventi, sono sfuggiti alla giusta attenzione. |